Da un po’ di tempo, tra gli argomenti al centro di un dibattito diviso tra etica ed esigenze agroalimentari, emerge la notizia della cosiddetta “carne Frankestein”, una carne sintetica che avrebbe in sé un obiettivo tanto ambizioso quanto poco veritiero: sfamare l’intero pianeta senza spreco di energia e di acqua, cioè senza “l’inquinamento” tipico causato dagli allevamenti tradizionali. Una formula che, quindi, avrebbe abbracciato etica ed esigenze concrete.
La verità, purtroppo, non è affatto così e a farla emergere è stato questo video, della Coldiretti, la confederazione nazionale dei coltivatori diretti (la principale organizzazione agricola italiana).
Secondo quanto riportato anche sul sito della Coldiretti, si tratterebbe di una mera manovra di marketing ben lontana dalla ricerca del benessere degli animali, dell’ambiente e di noi consumatori. Così si legge sulla carne Frankestein: “non salva gli animali perché viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare, non è accessibile a tutti poiché per farla serve un bioreattore e non è neppure carne ma un prodotto sintetico e ingegnerizzato”.
Se in effetti si viaggiasse verso l’eliminazione della sofferenza degli animali, si sceglierebbero altre strade (ne parlerò presto in nuovi approfondimenti) perché proprio per realizzare la crescita alimentare in laboratorio è necessario siero fetale bovino. E da dove si prende questo siero per creare una coltura di cellule staminali di vitello? Dalla “madre” macellata, dal cui utero viene rimosso il feto (di almeno 3 mesi, prima è troppo piccolo): un processo realizzato senza particolari accortezze nei confronti della vacca, tipo anestesie etc.
E qui in effetti entra in gioco la “bravura” di chi fa marketing senza porsi particolari problemi di etica ma con l’obiettivo esclusivo di fare soldi: perché infatti chiamare “carne coltivata” una tale realtà sintetica e ricostruita in laboratorio? Perché la parola rimanda a una percezione – ah il potere delle parole! – alla nostra percezione di pianta, di terra, di salute. Coltivare in automatico conduce la mente a questa associazione di significato. Ma qui di piante c’è ben poco: la carne sintetica è prodotta a partire da strisce di fibra muscolare; queste crescono attraverso la fusione di cellule staminali embrionali all’interno di un bio-reattore utilizzando tecniche di ingegneria tessutale (quelle che da diversi anni si praticano nella medicina rigenerativa: altro che naturale!).
Chi ha investito in questo progetto (“Paperoni” del Web e del Food, come li chiamo io, e tanti altri) ha un piano strategico che va ben oltre la dimensione OGM (cioè di organismo geneticamente modificato): noi tutti saremmo dipendenti da qualcosa di impensabile prima, perché non basterebbe terra, acqua, sole per far crescere e allevare il nostro cibo. I loro laboratori diventerebbero ciò di cui abbiamo bisogno, ed ecco perché gli allevatori europei stanno combattendo contro i tentativi di Bruxelles di farla “denominare” carne quando, di fatto, carne non è. Una manovra simile ha come risultato quello di far aumentare la confusione e di renderci un po’ più schiavi di quanto non lo siamo già adesso nel mondo agroalimentare.
A questo progetto hanno aderito anche quelle aziende il cui ruolo è di “replicare” fedelmente il gusto della carne: aroma di cane di vitello, di pollo e così via… Infine colpa di coda: il bilancio occupazionale, proposta che fornita ai Governi potrebbe sembrare la soluzione di tutti i mali attuali, quando con dati alla mano, è chiaro che verrebbero semplicemente spostate le persone che oggi sono ai pascoli e agli allevamenti. Ma tanto si sa, basta credere nei miracoli e dall’acqua si avrà poi il formaggio! Non occorrono più le persone dedicate a questo settore; magari bastano gli additivi, o no?
Quindi informatevi sempre con chi è del mestiere, cercate di non seguire fake news acriticamente, ma di fare domande che non servano soltanto a confermare le vostre opinioni o convinzioni personali. A volte, online e anche sulla carta stampata, si trovano notizie scritte e/o riportate senza un reale approfondimento della questione di cui si discute, e questo, unito alla grande quantità di informazioni da filtrare giornalmente, diventa una pericolosa disinformazione per tutti noi comuni mortali.