CH3COOH è una formula che mi accompagna da tanto tempo, da quando calcavo i banconi dei primi laboratori di chimica.
È una formula che per me ha qualcosa di magico; un’etichetta “del passato che fugge” che ho ritrovavo su specifiche bottigliette scure, così ambrate da risaltare in mezzo a tutte le altre. E ce n’erano tantissime!
L’acido acetico è stato un reagente di sperimentazione con cui mi sono davvero divertito. Il pizzicore che mi causava al naso non lo dimenticherò mai.
Oggi, invece, ci ritroviamo in cucina a parlare di “aceti” dalle diverse concentrazioni di acido acetico, in questo caso ottenuti dall’azione degradante dei batteri Acetobacter che, in presenza di aria e acqua, ossidano l’etanolo (alcool) contenuto nel vino, nel sidro, nella birra e in tantissime altre bevande zuccherine e lo trasformano nel nostro acido acetico.
La normativa italiana distingue gli aceti comuni col 4-6% di acidità dagli aceti di qualità con oltre il 7%; la normativa Europea, invece, non fa distinzioni e impone solo un minimo del 6%. Gli aceti artificiali, vietati per il consumo umano, sono ottenuti con delle diluizioni di acido acetico e acqua e sono spesso fonti di frodi.
Quando l’aceto ha una concentrazione al di sotto del 6% non si può più parlare di “aceto”, ma semplicemente di condimento.
Sull’aceto non esistono mezzi termini: c’è chi lo ama come me (io lo berrei anche a colazione) e chi lo odia profondamente, tanto da allontanare il piatto. In generale, i bambini difficilmente lo amano e ciò dipende dal sapore troppo spinto e pungente per i loro nasi ancora troppo delicati.
Dal punto di vista alimentare, rientra nella categoria degli alimenti nervini (con azione eccitante), come il tè, il cacao e così via.
Mille le pietanze mediterranee che richiamano questo ingrediente: l’agrodolce, la vinaigrette, la marinatura, le conserve sott’aceto, ma anche per “sgrassare” alcune pietanze troppo unte al palato.
È uno degli ingredienti base della nostra cucina e l’Italia risulta essere la maggiore produttrice mondiale di aceto di vino.
Una piccola parte di mercato produce in modo classico gli aceti ottenuti dal vino: un normale vino da tavola subisce una fermentazione indotta (madre d’aceto) o spontanea e una successiva stagionatura seguita da una filtrazione. Quando selezioniamo un vino pregiato in partenza otteniamo, invece, un aceto di qualità (aceto di vino chianti, di chardonnay, di grillo tanto per citarne alcuni); la fermentazione avviene in botti di rovere per almeno 2 anni (cosa che conferisce all’aceto un aroma intenso, armonioso e dal gusto persistente) garantendo così un prodotto organoletticamente di qualità superiore (7% di acido acetico). Un aceto simile aggiunge alle pietanze carattere e tipicità, al contrario degli aceti industriali strausati che “appiattiscono tutti i cibi”.
Negli acetifici industriali la produzione di aceto segue il metodo acetor con cui si riescono a produrre elevatissime quantità di aceto in tempi molto brevi. Il liquido si lavora in fermentazione sommersa, si fa bollire e successivamente viene raffreddato a 30°, per favorire i batteri acetici.
Oltre all’aceto di vino in commercio ne esistono molti altri: l’aceto di mele o di pere, l’aceto balsamico, l’aceto di uva passa e tanti aceti aromatizzati, ottenuti piuttosto facilmente con l’aggiunta di erbe aromatiche. Ma esiste anche un gustoso aceto a base di frutta, l’aceto di lamponi e persino l’aceto di miele dal sapore delicato, e ancora l’aceto nero cinese ottenuto dalla fermentazione di riso glutino.
Anche nel mondo degli aceti spesso vengono presentate le “novità”, come il parpaccio, un aceto da grattugiare dalla consistenza gelatinosa e le perle di aceto che esplodono in bocca rilasciando il loro tipico aroma.
L’aceto, messo a confronto con l’olio d’oliva, un vero must della cucina mediterranea, è molto più leggero sia in termini di energia che di nutrienti, sebbene il suo sapore sia molto deciso, e il suo utilizzo capace di trasformare organoletticamente un’insalatina in qualcosa di più appetitoso tanto da aumentare il senso di sazietà, e persino l’assorbimento del calcio.
Inoltre l’aceto di qualità invecchiato contiene componenti bioattivi utili al mantenimento del benessere e della salute.
Nell’aceto sono presenti anche acidi organici, polifenoli e melanoidine che svolgono attività battericide.
In generale consiglio di evitare l’uso di aceto per chi soffre di: reflusso gastroesofageo, gastrite, emorroidi e ulcere.
Gli effetti più negativi si riscontrano con l’abuso di aceto bianco che può causare anemia, ritardare i processi digestivi e impedire la corretta assimilazione del cibo.
Al contrario l’aceto di mele è quello che sembra avere più proprietà salutistiche, ma anche in questo caso bisogna saper scegliere.
Si raccomanda di non confondere l’aceto balsamico con la glassa o con la crema di aceto balsamico, spesso utilizzata in ambito culinario che vede l’aggiunta di farina, zucchero, burro e glucosio per la sua realizzazione.
Ricordatevi che come sempre la qualità alimentare ci ripaga in benessere.