Può il nemico numero uno delle fave diventare cibo prelibato?

Anni fa, sono stato in Puglia per lavoro. Ho girato un bel po’, in particolare il Tavoliere delle Puglie, una distesa semi-pianeggiante davvero ampia, ben coltivata di campi e frutteti. In quell’occasione incontrai un contadino molto anziano che vendeva, dietro il suo banchetto all’angolo della strada, molti tipi di verdure locali. E proprio lì, notai degli strani asparagi: erano grossi, violacei e pelosi. Ecco un ricordo che avevo dimenticato, ma che è riemerso proprio in questi giorni mentre stavo sviluppando questo articolo per voi.

Chi come me ha piacere a coltivare il proprio orto, all’inizio dell’inverno, semina le fave, così da raccoglierle in primavera. Purtroppo alcune aree, inclusa la mia, è infestata dall’orobanche (orobanche crenata, detta anche succiamele delle fave, sporchia, bbrighiu, malocchio). Si tratta di un parassita radicale delle leguminose, dal bel fiore violaceo e dritto che si erge da sottoterra proprio a ridosso delle radici delle fave, determinando la morte delle piante o comunque una loro scarsa produttività. Produce semi finissimi che si conservano nel terreno anche per più di un decennio prima di germinare in prossimità delle radici della pianta ospite.

La sapienza contadina ha però saputo approfittare di questo parassita, inserendolo addirittura nell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT). Non tutti sanno, infatti, che le orobanche sono commestibili e molto apprezzate, in particolare nelle zone della Lucania.

I turioni, cioè gli scapi fiorali, ne sono la parte commestibile. Vanno raccolti prima della fioritura, cioè appena emersi dal terreno e molto teneri; è un’operazione che va di pari passo con il controllo della specie stessa, in particolare entro gli orti familiari.

Come si cucinano? I turioni vengono mondati, eliminando la parte basale più dura, lavati e sbollentati in acqua e sale. Successivamente vanno tenuti a bagno in sola acqua fredda per alcune ore, operazione necessaria per ridurre il sapore amarognolo. Solo dopo sono pronti per essere utilizzati come ingrediente-base di numerose ricette.

Un modo semplice per gustarli è condirli con olio, aceto, aglio fresco e menta; oppure dentro una frittata, nelle zuppe. Tipiche anche le conserve.

L’orobanche è considerato oggi un cibo pregiato e sul mercato ha prezzi davvero esorbitanti.

 

Caratteristiche nutrizionali

Oltre che gustosa è anche buona per l’organismo, poiché è ricca di fibra e di acqua, che la rendono molto indicata nei casi di costipazione.

Ricca di antiossidanti, vitamina C, ferro, sali minerali, risulta interessante anche per la presenza di: tannini, acidi grassi liberi, carotene, sostanze amare e composti fenolici. Il contenuto di questi ultimi ammonta a circa 1,2 g/100 g (espressi come acido caffeico), quantità notevole se si considera che può essere paragonata al contenuto in derivati caffeici delle brattee di carciofo. Queste sostanze seppur amarognole sono benefiche dal punto di vista nutrizionale.

Da preferire in caso di appesantimenti epatici come steatosi e insufficienza epatica; ha anche un basso potere calorico, di soli 15 Kcal su 100 g.

Controindicato per chi soffre di favismo per carenza dell’enzima G6PDH.

Ne consiglio un uso moderato, invece, per chi presenta spesso stati infiammatori del tratto intestinale come la colite o soffre di diarrea, gonfiore postprandiale e reflusso gastro-esofageo.

Ovviamente fate molta attenzione quando raccogliete l’orobanche. Prendetela solo se ne siete sicuri, se si trova lontano da fonti di inquinamento e contaminazione come industrie, strade, rifiuti, torrenti inquinati, stalle e così via poiché potrebbe anche assomigliare a quei funghi maleodoranti del genere Phallus.

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