Uno speciale sulla pasta – Puntata n. 1 Dov’è nata la “pasta secca”?

Facciamo un salto indietro nel tempo: siamo a Trabia, in provincia di Palermo, nel periodo della Sicilia musulmana in epoca medioevale. Ed è proprio da qui che la pasta secca di semola di grano duro ha conquistato l’Italia passando da Napoli, poi Genova fino a coprire l’intero bacino del Mediterraneo.

Il geografo arabo Idrisi parla di “un importante polo produttivo di pasta in forma di fili”.

Perché è così unica la nostra pasta?

Intanto perché la pasta italiana è l’unica che – per legge – deve contenere solo grano duro di qualità. Ecco svelato il segreto che ha permesso ai nostri spaghetti di diventare i più amati al mondo.

Come per tutti gli alimenti, anche per realizzare la pasta “migliore del mondo”, sono necessari i grani più pregiati che esistano e la capacità di riconoscerli, dote affinata da secoli di esperienza della tradizione pastaia italiana.

Ben 50 anni fa è stata pubblicata la legge di purezza della pasta (L. 580/67). Si tratta dell’unica normativa al mondo che garantisce i consumatori (e vincola i produttori) dato che stabilisce i parametri di qualità e le caratteristiche del prodotto e della sua materia prima. Se anche una sola di queste specificità non viene rispettata, il grano non è adatto alla pastificazione e il prodotto finale non può essere chiamato pasta.

In un mondo che mangia e produce sempre più pasta, la competitività della pasta “Made in Italy” è legata, quindi, a doppio filo alla qualità delle sue materie prime.

Il grano è un prodotto agricolo e, a seconda delle condizioni climatiche, lo stesso terreno potrà produrre un anno un raccolto eccellente, l’anno dopo uno meno buono, e così via. Per questo i pastai cercano, scelgono e miscelano i grani migliori al mondo, combinando le diverse varietà di grano per assicurare la qualità costante della nostra pasta.

La legge parla chiaro: la pasta italiana dev’essere fatta di solo grano duro e i chicchi devono essere vitrei e non farinosi, ottenendo un prodotto grossolano e spigoloso dal caratteristico colore ambrato – appunto la semola – che mischiato con acqua produce un impasto molto tenace.

Altri parametri: la quantità di proteine, il segreto della tenuta al dente della pasta. A contatto con l’acqua, le proteine creano il glutine, il “cemento” che costituisce la struttura della pasta e ne trattiene l’amido. Più forte è la tenuta della rete proteica, più strette le sue maglie, meno amido fuoriuscirà dalla pasta in cottura (lo si vede a occhio dalla limpidezza dell’acqua nella pentola) evitando che si formi quella patina sulla superficie della pasta che la rende collosa e scotta.

La legge di purezza fissa per la pasta italiana il minimo di proteine di almeno il 10,50% ma per rispondere al gusto dell’attuale consumatore, le aziende italiane producono ormai pasta con un livello proteico medio di almeno il 12-13%.

Considerate che solo il 35% del grano italiano ha contenuto proteico superiore al 13% ecco perché importiamo grano estero più forte e tenace, nonostante siamo dei grandi produttori. Dato che la percentuale proteica del grano duro non è costante ma dipende dalla disponibilità di azoto che il grano ha in fase di crescita, è chiaro che le tecniche di coltivazione diventano fondamentali; allo stesso modo la rotazione dell’utilizzo dei terreni; evitare la pratica di incendiare i campi (totalmente sbagliata) per preparare la semina, e così via…

Mi raccomando: quando andate a comprare la pasta, ricordate il numero 13 che rappresenta il minimo contenuto proteico (13 g o 13%): si tratta di una sorta di indice di qualità da “cercare” nelle etichette della pasta, prima di comprarla: è anche la garanzia della tenuta al dente.

Sull’etichetta potrete anche trovare l’origine del grano: le sigle utilizzate saranno Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE (dicitura non più obbligatoria, ma fortunatamente sembra che i pastai non intendano rinunciare a specificare l’origine del grano sui loro prodotti).

Il mio consiglio da esperto nutrizionista è quello di scegliere sempre il grano italiano, il più salutare che esista perché in Italia l’uso di glifosato è vietato.

Come di produce?

Dopo aver impastato la semola con l’acqua, l’impasto viene “trafilato”, ossia spinto in maniera costante contro un reticolo da cui uscirà la pasta nel formato prescelto. Dopo questa fase, la pasta deve essere asciugata. La legge impone un contenuto d’acqua al di sotto del 12,5%.

La fase di asciugatura dovrà essere eseguita in maniera esemplare, come solo i pastai italiani sanno fare. Un essiccamento perfetto dev’essere uniforme su tutta la superficie e soprattutto tra esterno e interno della pasta; questo per evitare che poi si rompa nel pacco o in cottura o che resti poco “tenace” in bocca. Adesso la pasta è pronta per essere buttata in pentola.

 

Cosa succede durante la cottura?

L’acqua penetra progressivamente nella pasta che infatti diventa via via più molle. L’ebollizione fa sì che la pasta si muova continuamente e quindi venga colpita dall’acqua in ogni suo punto.

Spunti di riflessione: amido e proteine subiscono due trasformazioni opposte e quasi contemporanee. L’amido si rigonfia; aumentando di volume, gelatinizza e si solubilizza, attraversando il reticolo proteico e fuoriuscendo. Lo vediamo quando l’acqua di cottura diventa meno trasparente e si fa via via più torbida quanto maggiore è la quantità di amido “fuggito”. Per fortuna alle proteine accade il fenomeno opposto. La loro progressiva coagulazione “stringe le maglie” del reticolo glutinico e scherma l’amido all’interno della struttura. La prevalenza dell’uno o dell’altro fenomeno cambia tutto. Una piccola fuoriuscita di amido aiuta la pasta a legarsi con il sugo, ma se eccessiva la rende collosa e scotta.

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